Anoressia alimentare e anoressia sessuale: una lettura significativa sul “potere” del controllo sul corpo dalle sante ascetiche alle ragazze di oggi. 2^ parte
Il peccato originale di Adamo ed Eva viene raccontato dalla tradizione cattolica attraverso la metafora della mela tentatrice. È mangiando la mela che Adamo ed Eva furono cacciati dal Paradiso Terrestre. Iniziò a diffondersi così la cultura del peccato (la lussuria) e del suo opposto ovvero la forza morale, da ottenere dapprima attraverso le condotte ascetiche e successivamente attraverso l’autoflagellazione e l’automortificazione della carne.
Un noto libro di Rudolph Bell “La Santa Anoressia” riporta che su 170 donne italiane che furono santificate nel 14 ° secolo, più della metà presentava abitudini anoressiche. Il digiuno era un modo per purificarsi dai propri peccati carnali e il controllo, le rinunce e le torture al proprio corpo erano delle modalità di accesso al divino.
Questo periodo del Medioevo venne chiamato “periodo delle sante anoressiche”. Anche un altro libro di Walter Vandereycken “Dalle sante ascetiche alle ragazze anoressiche” dà notevoli spunti di comprensione del legame esistente tra anoressia alimentare e anoressia sessuale. Bisogna tener conto che nel Medioevo le ragazze in pieno sviluppo ormonale non avevano molte alternative: o sposavano l’uomo deciso dalla famiglia di origine o entravano in convento di clausura senza alcuna possibilità di soddisfare le pulsioni sessuali. L’unico modo era tentare di estinguerle e a questo serviva il digiuno; poiché le pulsioni erano nella carne, occorreva scarnificarsi.
Inoltre il corpo delle donne con le loro forme e il seno era depositario di tentazioni sessuali, di debolezza e di irrazionalità per ogni uomo, da qui l’origine della misoginia e del terrore che l’uomo sviluppò nei confronti delle donne, che esitò nel triste capitolo della “Caccia alle streghe” durata per ben 5 secoli a partire dal 1257 circa, dove furono commessi orrendi crimini su donne innocenti con la benedizione di almeno 70 papi.
Così l’anoressia, insieme alla flagellazione ed altre sofferenze corporali, diventò il mezzo per avviare la donna ad un percorso di santità.
L’anoressia come caratteristica di santità comparve nel 1200 e terminò nel 1500 quando Teresa d’Avila (santa spagnola che partecipò con forza mistica e spirituale alla riforma cattolica, rinvigorendo interi ordini religiosi) cominciò ad usare costantemente un ramoscello d’ulivo per indurre il vomito e liberare totalmente lo stomaco, onde poter accogliere degnamente l’ostia consacrata che divenne la sua unica fonte di sostentamento.
Nel Medioevo, oltre che un tentativo di estinguere le pulsioni sessuali, l’anoressia rimaneva l’unica forma di potere per le donne, che in convento potevano studiare e venivano rispettate nel loro ruolo mistico – religioso. Un altro libro “Storia della castità” di Elisabeth Abbott esamina il percorso di alcune donne che intendevano liberarsi dai costumi dell’epoca, che le vedeva unicamente nel ruolo di mogli e madri. Queste donne desideravano realizzarsi, acquisire potere, studiare, affrancarsi dal dominio e dalla dipendenza maschile. E alcune di queste si rifugiarono in convento, trovando la possibilità di autodeterminarsi. La castità associata o meno al digiuno non fu, quindi, solo un modo di purificarsi, ma contribuiva anche a determinare il potere e la libertà femminile, libertà di non appartenere ad un uomo e di non servire più unicamente i suoi bisogni.
Questo tema fu ripreso nella società post – femminista, in Italia a partire dal 1968, dove l’indipendenza della donna è andata di pari passo con la sua trasformazione corporea. Da “formosa fattrice italica” di mussoliniana memoria al servizio dei figli e del marito, ad un ideale di magrezza androgina, che si incaricava di esprimere il rifiuto per l’antico stereotipo femminile remissivo e materno e una rinnovata esigenza di autonomia e indipendenza.
Questi sono solo alcuni dei molteplici antecedenti storici, grazie ai quali, possiamo allargare lo spettro di comprensione dell’anoressia, tentando di empatizzare in un modo molto più esteso con il peculiare rapporto che l’anoressica vive con il sesso e le emozioni, per calarci infine nel tentativo soggettivo, ma condiviso anche dalla memoria collettiva, di abbandonare il comportamento di obbedienza per raggiungere l’indipendenza e per affermare, talvolta con forme estreme e drammatiche come alcuni casi di anoressia testimoniano, la propria identità.
Per leggere la 1^ parte e saperne di più sul significato del controllo del corpo come controllo del piacere alimentare e come controllo del piacere sessuale clicca qui: anoressia-alimentare-e-anoressia-sessuale/
Scritto da:
Sarah Di Bello
Psicologa clinica, psicoterapeuta ad indirizzo cognitivo – comportamentale e sessuologa clinica. Ha fatto parte dell’équipe del Centro di Prevenzione e Trattamento dei Disturbi del Comportamento Alimentare presso l’Azienda Ospedaliera “L. Sacco” di Milano. Ha collaborato con l’associazione “Progetto Itaca” di Milano in attività di prevenzione, assistenza e sostegno a persone affette da Ansia, Attacchi di Panico, Depressione, Anoressia e Bulimia. Già coordinatrice del N.O.D.A. (Nucleo Operativo Disturbi Alimentari) di Cusano Milanino, attualmente conduce psicoterapie individuali, di coppia e terapie sessuali. Ha curato una rubrica sulla sessualità presso la rivista online alfemminile.com e ha collaborato con la trasmissione radiofonica “La Pecora Nel Bosco” in diretta su Radio Radio (FM 104.5) radio.it
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